Dalle shinai di carta alle medaglie di bronzo: una Lectio Magistralis di Franco Sarra sulla storia del Kendo italiano

Se c’è una cosa che si impara rapidamente, una volta che si comincia a praticare Kendo, è non dare nulla per scontato. I movimenti da cui si inizia, e i passaggi che danno loro un senso, non sono che tracce lungo un percorso che parte da lontano e prosegue man mano che proseguiamo noi.


Chiunque abbia impugnato una shinai e indossato un bogu lo sa bene, ma non è infrequente, come principianti, lasciarsi trasportare dalla voglia di proseguire sulla strada che abbiamo davanti, lasciando in secondo piano quello che sta dietro: ciò che è stato fatto da altri prima di noi, ma che ci riguarda direttamente perché determina in qualche modo il nostro punto di partenza.

Una riflessione interessante, su questi temi, è arrivata qualche giorno fa dalla Lectio Magistralis di Franco Sarra, 5° Dan, benemerito della Confederazione Italiana Kendo e decano del Kendo Italiano. Una conversazione profonda e dettagliata sulla storia della nostra disciplina, fatta da chi gran parte di questa storia l’ha vissuta e scritta in prima persona.
È stato prima di tutto un momento prezioso, in una fase in cui la pandemia di Covid-19 ha posto grossi limiti anche alla pratica del Kendo: un’occasione per dimostrare come la pratica si possa portare avanti sotto tante forme, pure in questo periodo complicato. Ma anche una riflessione necessaria, particolarmente importante proprio per chi, come chi scrive, al Kendo è arrivato da pochissimi anni.

La storia del Kendo in Europa, ha ricordato Franco Sarra, comincia in un modo che ha un po’ il sapore del caso e un po’ il retrogusto del destino: con tre armature di Kendo ritrovate alla London Society nel 1957 da Roald Knutsen. La curiosità verso questa arte marziale dalle radici antichissime ha fatto da traino in quel preciso momento, e così è stato anche in l’Italia qualche anno dopo, con i praticanti del Karate e del Judo che hanno iniziato ad avvicinarsi alla via della spada.
Non è stato un percorso semplice: poche erano le occasioni per praticare con chi il Kendo lo conosceva bene, e molte erano invece le difficoltà nell’accostarsi alla pratica di qualcosa che di fatto in Italia non c’era ancora. Un esempio eloquente lo si trova a Rimini alla fine degli anni ’60, con una lezione del Maestro Abe in cui si usarono giornali arrotolati al posto delle shinai.

Tanta strada è stata fatta, qui in Italia, da quei primi seminari ai corsi strutturati di oggi, e tanti sono i protagonisti di una storia che, per le sfaccettature che presenta, può dirsi più densa di quanto non suggerisca la sua tutto sommato breve estensione. Una storia fatta talvolta di contrasti, e altre volte di persone che hanno superato visioni differenti per arrivare a costruire un movimento solido.
Franco Sarra ha illustrato con chiarezza ed efficacia gli snodi cruciali di questo percorso, così come le figure che lo hanno concretizzato: maestri, praticanti, ma anche associazioni e sigle, come la Associazione Italiana Kendo (AIK) e la Federazione Nazionale Italiana Kendo (FeNIKe) che nel 1988 hanno dato vita alla Confederazione Italiana Kendo. 

Chi pratica oggi deve molto ai tentativi e ai passi avanti che sono stati compiuti nel tempo: fino a non molti anni fa le lezioni erano molto diverse da quelle di oggi, ed era raro incontrare gradi alti. Eppure, in tanti non si sono persi d’animo, e hanno perfezionatole proprie abilità di kendoka, di istruttore e di Sensei, per poi metterle a disposizione di tutti i praticanti.

In questi giorni in cui i dojo sono chiusi, può far bene ripensare a come il Kendo italiano abbia affrontato e superato difficoltà rafforzandosi sempre di più, e arrivando, ad esempio, a conquistare persino un terzo posto a squadre nei Mondiali del 2003. È un invito che mi sento di rivolgere a chi, come me, si è avviato da poco nella pratica di questa disciplina: dietro ciò he facciamo nel dojo, e dietro ciò che i Sensei mettono a nostra disposizione, c’è un percorso che vale la pena conoscere. 
Del resto, è stato proprio lo stesso Sarra, durante la Lectio Magistralis, a sottolineare che gli ostacoli in qualche modo sono una parte fondamentale della crescita di un singolo praticante, così come di tutto il movimento del Kendo.

English version:


From paper shinais to bronze medals:
a Lectio Magistralis by Franco Sarra on the history of Italian Kendo

If there’s something you learn quickly, once you start practicing Kendo, is not to assume anything. The exercises from which you start, and the steps that give them meaning, are but footprints along a path that began long ago and that continues as we carry on.
Whoever has held a shinai and worn a bogu knows that very well, but as beginners, it is not unusual to get carried away by the urge to keep going along the road ahead of us, while forgetting what we have behind: the things others have done before us, and that concern us directly, because they are exactly what determines our starting point.

An interesting reflection about these topics was made some days ago with the Lectio Magistralis by Franco Sarra, 5th dan, meritorious member of the Italian Kendo Confederation (CIK) and dean of Italian Kendo. A deep and detailed conversation about the history of our martial art, held by someone who personally experienced and forged this history.
It was first and foremost a precious moment, at a time when the Covid-19 pandemic is seriously restricting the opportunities to practice Kendo: it was an occasion to show how we can go on practicing in multiple forms, even during these complicated days. But it was also a necessary reflection, especially important for those who, like me, have only been practicing Kendo for a few years.

As Franco Sarra recalled, the history of Kendo in Europe begins with something that has the flavor of chance, with a hint of destiny: in 1957 Roald Knutsen found three Kendo armors at the London Society, and that’s what started it all. The curiosity about this martial art with ancient roots  was the main driving force at that very moment, and the same thing happened a few years later in Italy, with practitioners of Karate and Judo who started to undertake the way of the sword.

It wasn’t an easy path: there were very few occasions for practicing with expert teachers, and there were several difficulties in approaching something that in Italy did not exist yet. A good example can be found in Rimini at the end of the 1960s, when Abe Sensei held a lesson using rolled newspapers instead of shinais.

Here in Italy we have come a long way from those first seminars to the current structured courses, and many people have played a starring role in a multifaceted history that is in fact denser than its brief extension may suggest. A history sometimes marked by conflicts, but also by people who have overcome different points of view in order to build a strong movement.
Franco Sarra clearly and effectively explained the key points of this path and the important figures that characterized it: Senseis, practitioners, but also associations such as the Italian Kendo Association (AIK) and the National Italian Kendo Federation (FeNIKe), whose union created the Italian Kendo Confederation in 1988.

Those who practice today owe much to the attempts and to the progress made over time: not so long ago lessons were very different from those of today, and it was rare to meet practitioners with high grades. Still many didn’t lose heart: they kept on improving their abilities as kendokas, teachers and Senseis, making them available to all practitioners.

During these days, with our dojos closed, it can be good to think back on how Italian Kendo has been able to face many difficulties, yet continuing to thrive enough to conquer a third place in the team competition in the 2003 World Championship. It’s an invitation I would like to address to those who, like me, just recently started practicing this discipline: behind everything we do at the dojo, and behind everything Senseis share with us, there is a path that is worth knowing.

After all, it was Franco Sarra who pointed out, during the Lectio Magistralis, that obstacles somehow are a fundamental part of the growth of a single practitioner, as well as that of all the Kendo movement.

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