In occasione della Giornata internazionale della donna, l’Accademia Romana Kendo è lieta di ospitare sulle proprie pagine un pezzo di Donatella Castelli – Nanadan Renshi e prima donna non giapponese ad aver ottenuto questo titolo – sulle donne nel kendo. Ringraziamo Donatella Castelli Sensei per aver accolto il nostro invito. Con l’auspicio che in tutto il mondo le donne kenshi siano sempre più numerose e agguerrite.
Diciamocelo subito, chiaro e tondo: il Kendo non è stato inventato né dalle donne, né per le donne.
La naginata sì, è un’arma gentile, pensata per le fanciulle: manovrandola con perizia, si potevano sbudellare con grazia gli assalitori del focolare domestico, senza nemmeno versare sangue sul tatami di casa. Non a caso le spose giapponesi di famiglia samurai ancora oggi ricevono in dono una naginata, come parte del corredo – una versione un po’ più efficace del battipanni o dello spazzolone che forse usavano le nostre nonne.
Ma il maneggio della spada non era cosa da signore – le donne che indossavano l’armatura con katana e wakizashi, erano poche e strane – e per questo alcune di loro sono passate alla storia. Quando il Kendo veniva proposto ai giovanotti come modo di rafforzare il loro spirito bellicoso, prima della Seconda Guerra Mondiale, alle ragazze si continuava a proporre la naginata – tanto dolce e soave, tanto che oggi viene persino praticata a suon di musica.
E così c’è voluta una guerra persa, il ritorno alla normalità dopo il bando precauzionale di tutte le arti marziali e la Fondazione della All Japan Kendo Federation prima di vedere le ragazze alle prese con il Kendo in Giappone. E poi siamo arrivate noi – dall’altra parte del mondo.
Quando iniziai a fare Kendo, io avevo in mente quello che avevo letto sui libri – non mi era per un attimo passato per la mente che potesse essere uno sport “da uomini”. Ma che sprovveduta. Me ne accorsi strada facendo, quando incontrai i soliti machos da dojo, che avevano la tendenza a buttare tutto in rissa ed in particolare a farlo se il loro avversario ero io. Fra noi donne kenshi si stabilivano amicizie basate sul fatto di essere non solo poche, ma anche costrette nello spogliatoio più piccolo e disagiato del palazzetto di turno.
E se in Italia o in Europa c’era poco da ridere, nemmeno si sorrideva in Giappone. Una volta iniziata la mia frequentazione con i maestri del Sol Levante, mi accorsi subito che in fondo il Kendo delle donne era sempre considerato secondo. Certamente il Giappone non brilla tuttora come il paradiso della parità di genere – i seminari femminili, anche se frequentati da donne praticanti di altissimo livello, hanno sempre un maestro uomo a fare da tutore – con toni che sovente finiscono nel paternalistico. Le signore giapponesi sanno già come gestire tutto ciò, ma questo è un po’ il loro retaggio culturale, per noi la pillola sembra più amara da digerire di quanto non sembri per loro. In fondo, tante di loro sarebbero pronte per diventare ottavo dan, ma finché tanti uomini con visioni ideologicamente contrarie alle donne hachidan siedono nella giuria, ci sarà ancora da aspettare. Spero di vedere una giapponese passare l’esame di ottavo dan durante la mia vita, idealmente prima che io possa persino pensare di andare a provare.
E quindi? E quindi noi donne si va avanti così, come si è sempre fatto, testardamente: negli anni il livello della pratica è cresciuto per tutti e la tecnica ha cominciato a contare più della forza bruta. Le donne in particolare hanno fatto una crescita esponenziale, in questo senso – e già questo mi rende particolarmente orgogliosa. I nostri numeri stentano ancora – perché non è facile trovare ragazze toste, coraggiose, affascinate dal nostro strano sport esotico. Per chi come me respira e mangia Kendo da più di 30 anni, ormai tutte le stranezze sono familiari, ma per chi ci si avvicina ci sono sempre parecchi ostacoli da superare, non ultimo il fatto che i dojo a prevalenza maschile non sono davvero incoraggianti per tutte le neofite. Quante di noi hanno visto lo spogliatoio femminile svuotarsi negli anni!
Il Kendo non è per tutti e non è per tutte. Ma se si intuisce quanto abbia da dare, in termini di autostima, di interazione sociale (ebbene sì!), di capacità di comprendere se stesse e gli altri, avendo la forza di perseverare, i ritorni sono incommensurabili. Come donna, non ho nessuna intenzione di lasciare tutto ciò solo agli uomini – e spero di incontrare tante altre donne che la pensano così. E se potrò fare qualcosa, foss’anche per far guadagnare al Kendo una sola anima femminile, di certo lo farò e con tutto l’entusiasmo possibile.
(di Donatella Castelli)
L’ha ribloggato su Kendo nelle Marchee ha commentato:
Con questo post preso in prestito dagli amici dell’Accademia Romana Kendo desideriamo inviare a tutte le donne il nostro augurio più sincero per il raggiungimento totale della parità con l’altra metà del cielo.
Prima di leggere questo interessante articolo scritto da Donatella Castelli, attuale Responsabile della C.T. per la Nazionale di Kendo, suggeriamo di leggere un altro suo scritto pubblicato nel 2010 riguardo il Kendo femminile.
https://kendonellemarche.wordpress.com/2010/10/10/dell%E2%80%99agonia-del-kendo-femminile-italiano/
Auguri!
Bell’articolo!!! Brava Donatella… e bravi i kendoka romani che hanno convinto chi sa scrivere.. a scrivere!