TANTI AUGURI ALL’ACCADEMIA ROMANA KENDO!

🔵 Il 21 aprile l’Ark ha compiuto dodici anni. Sono stati anni belli e intensi, all’insegna del divertimento e dell’amicizia, con l’unico obiettivo di continuare quella che è la nostra più grande passione: il Kendo e il suo sviluppo.

🔵 Negli ultimi tempi nonostante la pandemia grazie all’impegno dei nostri istruttori abbiamo svolto regolare pratica online e ora ci apprestiamo con le dovute precauzioni a riprendere l’attività anche in presenza, con l’auspicio che possa ritornare tutto alla normalità in tempi brevi.

🔵 È dura, ne siamo consapevoli ma rimaniamo ottimisti. Un abbraccio ai vecchi e ai nuovi amici, e a chi ci ha supportato sempre in questo lungo cammino, sperando il prossimo anno di poter festeggiare tutti assieme!

TANTI AUGURI ARK!!! 🎉🎉🎉❤️❤️❤️

ローマ剣道研修会創立12周年おめでとうございます!

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Dalle shinai di carta alle medaglie di bronzo: una Lectio Magistralis di Franco Sarra sulla storia del Kendo italiano

Se c’è una cosa che si impara rapidamente, una volta che si comincia a praticare Kendo, è non dare nulla per scontato. I movimenti da cui si inizia, e i passaggi che danno loro un senso, non sono che tracce lungo un percorso che parte da lontano e prosegue man mano che proseguiamo noi.


Chiunque abbia impugnato una shinai e indossato un bogu lo sa bene, ma non è infrequente, come principianti, lasciarsi trasportare dalla voglia di proseguire sulla strada che abbiamo davanti, lasciando in secondo piano quello che sta dietro: ciò che è stato fatto da altri prima di noi, ma che ci riguarda direttamente perché determina in qualche modo il nostro punto di partenza.

Una riflessione interessante, su questi temi, è arrivata qualche giorno fa dalla Lectio Magistralis di Franco Sarra, 5° Dan, benemerito della Confederazione Italiana Kendo e decano del Kendo Italiano. Una conversazione profonda e dettagliata sulla storia della nostra disciplina, fatta da chi gran parte di questa storia l’ha vissuta e scritta in prima persona.
È stato prima di tutto un momento prezioso, in una fase in cui la pandemia di Covid-19 ha posto grossi limiti anche alla pratica del Kendo: un’occasione per dimostrare come la pratica si possa portare avanti sotto tante forme, pure in questo periodo complicato. Ma anche una riflessione necessaria, particolarmente importante proprio per chi, come chi scrive, al Kendo è arrivato da pochissimi anni.

La storia del Kendo in Europa, ha ricordato Franco Sarra, comincia in un modo che ha un po’ il sapore del caso e un po’ il retrogusto del destino: con tre armature di Kendo ritrovate alla London Society nel 1957 da Roald Knutsen. La curiosità verso questa arte marziale dalle radici antichissime ha fatto da traino in quel preciso momento, e così è stato anche in l’Italia qualche anno dopo, con i praticanti del Karate e del Judo che hanno iniziato ad avvicinarsi alla via della spada.
Non è stato un percorso semplice: poche erano le occasioni per praticare con chi il Kendo lo conosceva bene, e molte erano invece le difficoltà nell’accostarsi alla pratica di qualcosa che di fatto in Italia non c’era ancora. Un esempio eloquente lo si trova a Rimini alla fine degli anni ’60, con una lezione del Maestro Abe in cui si usarono giornali arrotolati al posto delle shinai.

Tanta strada è stata fatta, qui in Italia, da quei primi seminari ai corsi strutturati di oggi, e tanti sono i protagonisti di una storia che, per le sfaccettature che presenta, può dirsi più densa di quanto non suggerisca la sua tutto sommato breve estensione. Una storia fatta talvolta di contrasti, e altre volte di persone che hanno superato visioni differenti per arrivare a costruire un movimento solido.
Franco Sarra ha illustrato con chiarezza ed efficacia gli snodi cruciali di questo percorso, così come le figure che lo hanno concretizzato: maestri, praticanti, ma anche associazioni e sigle, come la Associazione Italiana Kendo (AIK) e la Federazione Nazionale Italiana Kendo (FeNIKe) che nel 1988 hanno dato vita alla Confederazione Italiana Kendo. 

Chi pratica oggi deve molto ai tentativi e ai passi avanti che sono stati compiuti nel tempo: fino a non molti anni fa le lezioni erano molto diverse da quelle di oggi, ed era raro incontrare gradi alti. Eppure, in tanti non si sono persi d’animo, e hanno perfezionatole proprie abilità di kendoka, di istruttore e di Sensei, per poi metterle a disposizione di tutti i praticanti.

In questi giorni in cui i dojo sono chiusi, può far bene ripensare a come il Kendo italiano abbia affrontato e superato difficoltà rafforzandosi sempre di più, e arrivando, ad esempio, a conquistare persino un terzo posto a squadre nei Mondiali del 2003. È un invito che mi sento di rivolgere a chi, come me, si è avviato da poco nella pratica di questa disciplina: dietro ciò he facciamo nel dojo, e dietro ciò che i Sensei mettono a nostra disposizione, c’è un percorso che vale la pena conoscere. 
Del resto, è stato proprio lo stesso Sarra, durante la Lectio Magistralis, a sottolineare che gli ostacoli in qualche modo sono una parte fondamentale della crescita di un singolo praticante, così come di tutto il movimento del Kendo.

English version:


From paper shinais to bronze medals:
a Lectio Magistralis by Franco Sarra on the history of Italian Kendo

If there’s something you learn quickly, once you start practicing Kendo, is not to assume anything. The exercises from which you start, and the steps that give them meaning, are but footprints along a path that began long ago and that continues as we carry on.
Whoever has held a shinai and worn a bogu knows that very well, but as beginners, it is not unusual to get carried away by the urge to keep going along the road ahead of us, while forgetting what we have behind: the things others have done before us, and that concern us directly, because they are exactly what determines our starting point.

An interesting reflection about these topics was made some days ago with the Lectio Magistralis by Franco Sarra, 5th dan, meritorious member of the Italian Kendo Confederation (CIK) and dean of Italian Kendo. A deep and detailed conversation about the history of our martial art, held by someone who personally experienced and forged this history.
It was first and foremost a precious moment, at a time when the Covid-19 pandemic is seriously restricting the opportunities to practice Kendo: it was an occasion to show how we can go on practicing in multiple forms, even during these complicated days. But it was also a necessary reflection, especially important for those who, like me, have only been practicing Kendo for a few years.

As Franco Sarra recalled, the history of Kendo in Europe begins with something that has the flavor of chance, with a hint of destiny: in 1957 Roald Knutsen found three Kendo armors at the London Society, and that’s what started it all. The curiosity about this martial art with ancient roots  was the main driving force at that very moment, and the same thing happened a few years later in Italy, with practitioners of Karate and Judo who started to undertake the way of the sword.

It wasn’t an easy path: there were very few occasions for practicing with expert teachers, and there were several difficulties in approaching something that in Italy did not exist yet. A good example can be found in Rimini at the end of the 1960s, when Abe Sensei held a lesson using rolled newspapers instead of shinais.

Here in Italy we have come a long way from those first seminars to the current structured courses, and many people have played a starring role in a multifaceted history that is in fact denser than its brief extension may suggest. A history sometimes marked by conflicts, but also by people who have overcome different points of view in order to build a strong movement.
Franco Sarra clearly and effectively explained the key points of this path and the important figures that characterized it: Senseis, practitioners, but also associations such as the Italian Kendo Association (AIK) and the National Italian Kendo Federation (FeNIKe), whose union created the Italian Kendo Confederation in 1988.

Those who practice today owe much to the attempts and to the progress made over time: not so long ago lessons were very different from those of today, and it was rare to meet practitioners with high grades. Still many didn’t lose heart: they kept on improving their abilities as kendokas, teachers and Senseis, making them available to all practitioners.

During these days, with our dojos closed, it can be good to think back on how Italian Kendo has been able to face many difficulties, yet continuing to thrive enough to conquer a third place in the team competition in the 2003 World Championship. It’s an invitation I would like to address to those who, like me, just recently started practicing this discipline: behind everything we do at the dojo, and behind everything Senseis share with us, there is a path that is worth knowing.

After all, it was Franco Sarra who pointed out, during the Lectio Magistralis, that obstacles somehow are a fundamental part of the growth of a single practitioner, as well as that of all the Kendo movement.

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“Muoversi Zen”, la scienza del samurai moderno

Per molti praticanti occidentali, l’estate rappresenta un momento di riposo dalle fatiche della stagione appena terminata e di riflessione. Ma lo spirito del guerriero non dorme mai! Vi proponiamo “Muoversi Zen”: prontezza all’azione e scienza della reazione agli stimoli secondo The Japan Times

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“Sii fedele al pensiero del momento ed evita distrazioni. Oltre a continuare ad esercitarti, non attenerti a nient’altro, ma spingiti fino a vivere singolo pensiero per singolo pensiero”.

– Tsunemoto Yamamoto, “Hagakure” (1710 circa)

 

Isao Machii, residente a Hyogo, è un maestro di iaido, uno specialista nell’arte di estrarre la spada dal fodero.

Nel Giappone feudale, il duello era ritualizzato, e generalmente due samurai si ritrovavano faccia a faccia con le spade rinfoderate al fianco e si inchinavano l’uno verso l’altro prima di combattere. Immaginate Clint Eastwood che affronta un avversario in uno spaghetti Western, ma con più raffinatezza. Così come l’abilità del pistolero di estrarre rapidamente la pistola era determinante per il risultato di un duello, così era per le spade.

I samurai hanno elevato la pratica del duello a forma d’arte. Lo iaido consiste nell’avere piena consapevolezza dell’ambiente circostante, nell’essere psicologicamente pronti all’azione, nell’abitare l’ “ora”. Ha a che fare con purezza dei movimenti, precisione e fluidità. In breve, è il “movimento Zen”.

Machii sa muoversi con incredibile rapidità. La prima volta l’ho visto su YouTube mentre affrontava una macchina lanciapalle impostata su una velocità più alta del normale. Lui è lì in piedi, la mano sull’impugnatura della spada, quando una palla da baseball gli viene lanciata contro a più di 160 km all’ora. Prima che lo spettatore possa accorgersene, Machii ha sguainato la sua lama e affettato la palla in due.

C’è un altro video in cui Machii affronta una pistola ad aria compressa. I piombini si muovono a 350 km all’ora, ma lui riesce comunque a sguainare la spada e a colpirli.

Quest’uomo è stato proclamato leggenda samurai e supereroe dei fumetti in carne ed ossa. Sembra possedere l’equivalente di un sesto senso per indovinare il percorso di un oggetto in movimento ed è in grado di reagire molto più velocemente di una persona normale.

Nella psicologia cognitiva, il tempo di reazione viene usato per misurare la cronometria mentale. Nella sua forma più semplice, essa si riferisce al tempo di elaborazione delle operazioni cognitive, in altre parole il tempo che passa tra un segnale (per esempio, l’esplosione di un colpo) e la reazione che viene suscitata in risposta al segnale.

Tipi diversi di stimoli provocheranno diversi tempi di reazione. Nonostante la luce viaggi più veloce del suono, di solito le persone reagiscono più rapidamente al suono che alla luce, poiché il cervello ha bisogno di più tempo per elaborare la complessità degli stimoli visivi.

Ognuno ha i suoi tempi di reazione, sebbene tipicamente i giovani reagiscano più rapidamente delle persone più anziane.

È interessante notare come il tempo di reazione di un individuo sia collegato al suo quoziente intellettivo. In psicologia, esiste uno strumento chiamato Jensen Box che viene utilizzato per misurare reazioni e intelligenza. La scatola è dotata di otto pulsanti e otto luci associate a ciascuno di essi: appena una luce si accende, bisogna premere il pulsante giusto accanto alla luce.

Gli esperimenti condotti con la Jensen Box hanno mostrato come gli individui più intelligenti reagiscono più velocemente. Sebbene i ricercatori non sappiano esattamente perché questo avvenga, le persone con tempi di reazione più rapidi potrebbero essere in grado di elaborare le informazioni più velocemente.

Tuttavia i limiti fisici impongono dei massimali alla velocità in cui i neurotrasmettitori possono inviare informazioni al cervello. Machii ha raggiunto questi massimali attraverso il suo allenamento di iaido?

Il principale neurotrasmettitore che fa da mediatore per la reazione è la dopamina, il che può suonare strano a chi la conosce come la cosiddetta “molecola delle coccole” che controlla la gratificazione e il piacere nel cervello.

Krystal Parker del dipartimento di Neurologia dell’Università dell’Iowa studia i percorsi cerebrali che la dopamina utilizza. La regione chiave del cervello in questo senso è l’area tegmentale ventrale, ricca di neuroni della dopamina, e Parker ha scoperto che il miglioramento nei tempi di reazione negli individui con il morbo di Parkinson è legato a una maggiore attività in quest’area.

I ricercatori sanno che farmaci come l’anfetamina possono ridurre i tempi di reazione, mentre i farmaci che bloccano la dopamina hanno l’effetto opposto. Questo ci fa pensare che le persone come Machii forse possiedono dei geni cheottimizzano i percorsi nell’area tegmentale ventrale.

La ricerca ha inoltre mostrato che la velocità alla quale una persona può elaborare informazioni diminuisce bruscamente tra i venti e i trent’anni. Ad oggi, all’età di 43 anni, Machii detiene svariati Guinnes dei Primati per la sua abilità nel maneggiare la spada, ma mi chiedo se mai riuscirà a batterne di nuovi. Di certo spero che ci riesca.

 

Questo articolo è apparso su The Japan Times il 18 febbraio 2017:
http://www.japantimes.co.jp/news/2017/02/18/national/science-health/moving-zen-modern-samurai/#.WLaonG_aeos

Tutti i diritti sono riservati all’autore Rowan Hooper e a The Japan Times. La traduzione è stata realizzata dall’Accademia Romana Kendo a scopo divulgativo per il pubblico italiano.

[Traduzione: N.C.]

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Tashiro Sensei e Sumi Sensei a Roma

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Il kendo come incontro e confronto con l’altro, ma prima di tutto come sfida con noi stessi, disciplina che ci spinge costantemente a migliorarci, a superare le nostre paure e a dare il massimo in ogni circostanza. Si conclude con questo messaggio di Tashiro Junichi Sensei, Kendo Hachi Dan Kyoshi, la due giorni del Maestro nella Capitale.

Due intensi allenamenti congiunti a conferma della bella collaborazione tra i dojo romani. Nella serata di giovedì 18, contestualmente al seminario di Tashiro Sensei, si è svolto anche un allenamento di naginata diretto da Sumi Kaori Sensei, Naginata Hanshi.

Grazie a tutti i partecipanti!

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CIK Taikai e Campionati Italiani Kyu 2017

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Si sono svolti a Calcinato, nel bresciano, nelle giornate di sabato 6 e domenica 7 maggio il CIK Taikai, trofeo a squadre da tre, e le competizioni nazionali per i livelli Kyu, maschili e femminili.

L’Accademia Romana Kendo, arrivata a Calcinato venerdì sera, presentava due squadre da tre e, purtroppo a causa di un imprevisto, una da due: composta da Mauro Battaglioni, Gennaro Lapadula e Federico Capone la squadra dei più anziani; la seconda formata da Flavio Corniola, Lorenzo Campana e Lavinia Laurenti e una squadra Kyu, con Matteo Arbia e Manuel Ivagnes – alla prima esperienza di gara – che il giorno dopo affronteranno i nazionali kyu.

La squadra capitanata da Battaglioni si ritrova in poule l’ostico Kuma no Kai Catania, e finisce per passare seconda, mentre le altre due, di fronte a team con maggiore esperienza di gara e determinazione, si ritrovano sconfitte prima delle fasi eliminatorie. Resta così la squadra “maggiore”, che dopo aver passato la poule incontra sulla sua strada nell’ordine Heijoshinkan Voghera, Sakuragari Francia Corta, quindi Andrea Doria ai quarti e Do Academy Torino in semifinale.

La squadra vince tutti gli incontri e si ritrova in finale contro il Kodokan Alessandria, che nella formazione presenta tre dei suoi cinque campioni d’Italia a squadre. Federico Capone soccombe con il fortissimo Alberto Sozzi, nel secondo incontro Mauro Battaglioni porta a casa un 2-0 contro Fabrizio Mandia ma il Kodokan, team collaudato e d’esperienza, conquista il gradino più alto del podio chiudendo la finale con Francesco Mandia. Ottima performance per il team ARK, per la prima volta in una finale al CIK Taikai come club, con Lapadula e Capone alla prima esperienza in assoluto di finale nazionale.

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Dopo un CIK Taikai ricco di emozioni, è la volta degli individuali kyu. Esordio avvincente e vissuto con grande spirito da Manuel Ivagnes, Matteo Arbia e Leonardo Rafanelli, sebbene solo questi ultimi riusciranno a superare la poule, mentre la nostra Lavinia Laurenti riceverà il Fighting Spirit nella categoria femminile, a riconoscimento del suo spirito combattivo e dell’impegno nella pratica.

Un weekend di soddisfazioni per tutta l’ARK, unita più che mai e più che mai decisa a proseguire il suo cammino lungo la via della spada con umiltà, pazienza e caparbietà.

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L’Accademia Romana Kendo al Kyoto Butokuden

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Sono i giorni della Golden Week in Giappone, la settimana in cui cadono alcune delle più importanti festività del Paese e periodo di vacanza per molti.

Ma Golden Week significa anche Enbu Taikai: centinaia di maestri di kendo, iaido, jodo e naginata dal sesto dan in su si riuniscono in uno dei luoghi sacri del budo, il Kyoto Butokuden, per dare un saggio della loro pratica.

Una delegazione dell’Accademia romana kendo ha avuto l’onore di praticare al Butokuden lo scorso novembre insieme a tanti maestri e senpai: una tappa fondamentale del nostro viaggio in Giappone che a breve cercheremo di raccontarvi.

Rimanete sintonizzati!

 

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Il samurai maldestro e il centenario dell’animazione giapponese

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Un fotogramma da なまくら刀, “The Dull Sword”, Junichi Kouchi – 1917

Un samurai un po’ maldestro, una spada poco affilata. Sullo sfondo la Tokyo dei primi anni del Novecento. È il cortometraggio animato più antico del Giappone, datato 1917, e porta la firma di Junichi Kouchi. Un film che si credeva perduto finché ne fu ritrovata casualmente una copia in un negozio di antiquariato di Osaka nel 2008.

“La Spada Poco affilata” (なまくら刀, “The Dull Sword” – questo il titolo) è solo uno dei tanti cortometraggi animati d’epoca resi disponibili online dal National Film Center, parte del Museo Nazionale di Arte Moderna di Tokyo, in occasione del centesimo compleanno dell’animazione giapponese. Le opere saranno disponibili per tutto l’anno, in omaggio a una forma d’arte che il Giappone ha fatto propria, e che è nata ben prima di essere nota come “anime”. I primi esperimenti dei disegnatori giapponesi sono dei cartoni affascinanti e divertenti. Molti sono andati tragicamente perduti nel 1923, quando un fortissimo terremoto rase al suolo Tokyo e gran parte di quello che ne era rimasto andò in fiamme.

La versione inglese del sito appositamente creato dal National Film Center sarà disponibile a breve, ma i sottotitoli non sono indispensabili per apprezzare gioiellini come il corto animato di propaganda “Il Reggimento di Fanteria Quack” (あひる陸戰隊, “The Quack Infantry Troop”) del 1940, che ha come protagonista un’imitazione “militarizzata” di Paperino, oppure “Fioritura” (開花, “Propagate”), animazione sperimentale del 1935 firmata Shigeji Ogino, costituita da un caleidoscopio di forme geometriche danzanti in bianco e nero.

Qui potete visionare tutti i corti con protagonisti samurai: http://animation.filmarchives.jp/categories/motions/6

Questa la homepage del centenario dell’animazione giapponese: http://animation.filmarchives.jp/index.html

Per un approfondimento del sito Tofugu sulla storia dell’animazione giapponese: https://www.tofugu.com/japan/silent-era-anime/

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Stage di Kendo femminile a Firenze

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Sabato 18 febbraio un gruppo di praticanti dell’Accademia Romana Kendo ha partecipato a Firenze al primo stage del 2017 dedicato al Kendo femminile, a cura di Mirial Livolsi (6º DAN Renshi) e Yunsook Ma (6º DAN).

43 partecipanti da varie regioni d’Italia e la presenza della squadra femminile giapponese dell’Università di Waseda (tutte ragazze dai 20 ai 22 anni, 3º o 4º dan, accompagnate dal Maestro Norio Yokoyama) hanno reso questa giornata di pratica molto interessante e intensa.

Nella prima fase dello stage abbiamo studiato i fondamentali (movimenti di base, Suburi e attacchi diretti) concentrandoci in modo particolare sull’ Okuriashi e sul Fumikomi. Nella seconda fase abbiamo invece studiato alcune Shikake Waza e Oji Waza.

Al termine di questa fase di allenamento, tutta la nazionale femminile italiana presente e alcune Yudansha hanno provato un mini allenamento con le Kendoka giapponesi: Kirikaeshi veloce, attacchi diretti (Men, Kote, Do, Kote-Men, Tsuki), Hiki Waza e Kakarigeiko.

Al termine dello stage, le Kendoka italiane e giapponesi si sono unite per una sessione di Mawarigeiko e di Jigeiko libero.

Il 29 e 30 aprile si terrà un altro Stage di Kendo femminile a Bologna, presso il Centro Sportivo Sandro Pertini (per info: http://www.kendo-cik.it).

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Le Donne e il Kendo

In occasione della Giornata internazionale della donna, l’Accademia Romana Kendo è lieta di ospitare sulle proprie pagine un pezzo di Donatella Castelli – Nanadan Renshi e prima donna non giapponese ad aver ottenuto questo titolo – sulle donne nel kendo. Ringraziamo Donatella Castelli Sensei per aver accolto il nostro invito. Con l’auspicio che in tutto il mondo le donne kenshi siano sempre più numerose e agguerrite.

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Diciamocelo subito, chiaro e tondo: il Kendo non è stato inventato né dalle donne, né per le donne.

La naginata sì, è un’arma gentile, pensata per le fanciulle: manovrandola con perizia, si potevano sbudellare con grazia gli assalitori del focolare domestico, senza nemmeno versare sangue sul tatami di casa. Non a caso le spose giapponesi di famiglia samurai ancora oggi ricevono in dono una naginata, come parte del corredo – una versione un po’ più efficace del battipanni o dello spazzolone che forse usavano le nostre nonne.

Ma il maneggio della spada non era cosa da signore – le donne che indossavano l’armatura con katana e wakizashi, erano poche e strane – e per questo alcune di loro sono passate alla storia. Quando il Kendo veniva proposto ai giovanotti come modo di rafforzare il loro spirito bellicoso, prima della Seconda Guerra Mondiale, alle ragazze si continuava a proporre la naginata – tanto dolce e soave, tanto che oggi viene persino praticata a suon di musica.

E così c’è voluta una guerra persa, il ritorno alla normalità dopo il bando precauzionale di tutte le arti marziali e la Fondazione della All Japan Kendo Federation prima di vedere le ragazze alle prese con il Kendo in Giappone. E poi siamo arrivate noi – dall’altra parte del mondo.

Quando iniziai a fare Kendo, io avevo in mente quello che avevo letto sui libri – non mi era per un attimo passato per la mente che potesse essere uno sport “da uomini”. Ma che sprovveduta. Me ne accorsi strada facendo, quando incontrai i soliti machos da dojo, che avevano la tendenza a buttare tutto in rissa ed in particolare a farlo se il loro avversario ero io. Fra noi donne kenshi si stabilivano amicizie basate sul fatto di essere non solo poche, ma anche costrette nello spogliatoio più piccolo e disagiato del palazzetto di turno.

E se in Italia o in Europa c’era poco da ridere, nemmeno si sorrideva in Giappone. Una volta iniziata la mia frequentazione con i maestri del Sol Levante, mi accorsi subito che in fondo il Kendo delle donne era sempre considerato secondo. Certamente il Giappone non brilla tuttora come il paradiso della parità di genere – i seminari femminili, anche se frequentati da donne praticanti di altissimo livello, hanno sempre un maestro uomo a fare da tutore – con toni che sovente finiscono nel paternalistico. Le signore giapponesi sanno già come gestire tutto ciò, ma questo è un po’ il loro retaggio culturale, per noi la pillola sembra più amara da digerire di quanto non sembri per loro. In fondo, tante di loro sarebbero pronte per diventare ottavo dan, ma finché tanti uomini con visioni ideologicamente contrarie alle donne hachidan siedono nella giuria, ci sarà ancora da aspettare. Spero di vedere una giapponese passare l’esame di ottavo dan durante la mia vita, idealmente prima che io possa persino pensare di andare a provare.

E quindi? E quindi noi donne si va avanti così, come si è sempre fatto, testardamente: negli anni il livello della pratica è cresciuto per tutti e la tecnica ha cominciato a contare più della forza bruta. Le donne in particolare hanno fatto una crescita esponenziale, in questo senso – e già questo mi rende particolarmente orgogliosa. I nostri numeri stentano ancora – perché non è facile trovare ragazze toste, coraggiose, affascinate dal nostro strano sport esotico. Per chi come me respira e mangia Kendo da più di 30 anni, ormai tutte le stranezze sono familiari, ma per chi ci si avvicina ci sono sempre parecchi ostacoli da superare, non ultimo il fatto che i dojo a prevalenza maschile non sono davvero incoraggianti per tutte le neofite. Quante di noi hanno visto lo spogliatoio femminile svuotarsi negli anni!

Il Kendo non è per tutti e non è per tutte. Ma se si intuisce quanto abbia da dare, in termini di autostima, di interazione sociale (ebbene sì!), di capacità di comprendere se stesse e gli altri, avendo la forza di perseverare, i ritorni sono incommensurabili. Come donna, non ho nessuna intenzione di lasciare tutto ciò solo agli uomini – e spero di incontrare tante altre donne che la pensano così. E se potrò fare qualcosa, foss’anche per far guadagnare al Kendo una sola anima femminile, di certo lo farò e con tutto l’entusiasmo possibile.

(di Donatella Castelli)

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Kendo e mal di schiena

Abbiamo tradotto un articolo tratto dalla sezione “kendo e medicina” del sito della Zen Nippon Kendō Renmei. A una domanda sull’insorgenza di mal di schiena in molti praticanti di kendo, la Federazione Giapponese risponde spiegandone le cause.

Domanda

Molti studenti che frequentano il kendo club di cui sono allenatore lamentano lombalgie. Perché si verificano questi mal di schiena? (Istruttore, 38 anni)

Risposta

La colonna vertebrale umana è formata da 7 vertebre cervicali, 12 vertebre toraciche, 5 vertebre lombari, 5 vertebre sacrali e 4/5 vertebre coccigee.
Al fine di camminare su due gambe, se guardiamo la colonna vertebrale da un lato la vedremo a forma di S, con la parte lombare che assume una forma convessa in avanti. Si tratta della curvatura fisiologica lombare (figura 1). Quando questa curva diventa più accentuata, e la curvatura lombare aumenta, si è soggetti a mal di schiena (figura 2).

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Il kendo e il mal di schiena

Nel kendo, le lombalgie aumentano rapidamente a partire dai 15-17 anni di età, e circa il 30% degli atleti dai 10 ai 30 anni dice di averne avuto esperienza. I mal di schiena si verificano di frequente anche nei kendoka al di sopra di questa fascia d’età.

Nella postura e nei movimenti del kendo è insita un’asimmetria destra-sinistra. Braccio e gamba destra sono in avanti, il braccio e la gamba sinistra indietro, il tronco è rivolto dritto in avanti. Anche al momento del colpo, il movimento è ugualmente asimmetrico tra destra e sinistra (figura 3). Questa postura pesa sulle vertebre lombari.

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Cause del mal di schiena

Si ritiene che le lombalgie siano causate principalmente dal movimento di taiatari e dal movimento che si fa nell’effettuare un colpo. Nel taiatari, spingendo il bacino (con la zona lombare curvata in avanti) ci si deve scontrare con forza con l’opponente. Ma se allunghiamo la zona lombare non riusciamo a colpire in modo efficace, e anche quando ci troviamo in chuudan no kamae, se proviamo a mantenere una posizione corretta, la lordosi aumenta. Si può dire che il kendo fa molto affidamento sulle vertebre lombari. Sicuramente man mano che si va avanti con la pratica c’è un rafforzamento dei muscoli dorsali, ma per lo stesso motivo, se manca un allenamento globale del tronco (per esempio in bilanciamento con i muscoli addominali), si è comunque soggetti a mal di schiena.

Nel kendo, sia nell’uchikomi che nel kakarigeiko, sono molti i movimenti ripetitivi di flessione ed estensione lineare della zona lombare. Per questo si ritiene che soprattutto in età scolare – confrontandosi spesso con praticanti di grado superiore e diversa statura – questo tipo di situazioni aumenti i mal di schiena. La ripetizione di movimenti che portano ad accentuare la curvatura lombare diventa un peso per la colonna vertebrale, ed è facile che si verifichino traumi*. Questo rischio è particolarmente alto per le persone che mantengono il corpo rigido. Nell’età dello sviluppo, le lombalgie si verificano per via dell’aumento degli allenamenti in soggetti con una forza muscolare ancora insufficiente; nei soggetti di mezza età l’invecchiamento della colonna vertebrale e l’indebolimento muscolare diventano i principali fattori scatenanti del mal di schiena.
Akiyama Tomoko (Ortopedico del Policlinico di Fuchinobe, Kanagawa)

Questo articolo è tratto dal sito ufficiale della Zen Nippon Kendō Renmei (全日本剣道連盟):
http://www.kendo.or.jp/kendo/medicine/back-pain-of-kendo.html

Tutti i diritti sono riservati alla Zen Nippon Kendō Renmei. La traduzione è stata realizzata dall’Accademia Romana Kendo a scopo divulgativo per il pubblico italiano.

* come la spondilosi lombare

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L’Accademia Romana Kendo apre le porte ai Giovani!

L’Accademia Romana Kendo è lieta di annunciare che da mercoledì 19 Ottobre inizierà un corso di Kendo dedicato a Giovani e Giovanissimi, dagli 11 ai 18 anni.

Il corso si svolgerà tutti i mercoledì, dalle 15:00 alle 16.30 nella consueta sede del Palapass, in Via Tripolitania 34. Rimandiamo al sito per tutti i contatti necessari.

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Toshiko Takeda Sensei all’Accademia Romana Kendo

Il 21 e il 23 settembre, l’Accademia Romana Kendo ha ospitato Toshiko Takeda Sensei, Renshi 6º dan, in visita in Italia da Nagoya, nella prefettura di Aichi.

Takeda Sensei ha guidato l’allenamento del mercoledì, incentrato sullo studio del kihon e conclusosi con una sessione di jigeiko, e quello del venerdì, che invece ha visto uno studio approfondito dei kendo no kata.

“Una delle mie frasi preferite sul kendo” ci ha spiegato Takeda Sensei “è questa: quando riesci a colpire correttamente il tuo opponente, chiediti come ci sei riuscito. Quando subisci un colpo, ringrazia il tuo opponente, perché ti ha mostrato cosa devi migliorare nella tua pratica”. Non fermarsi a contemplare i proprio successi, quindi, né lasciarsi scoraggiare dalle sconfitte, ma essere sempre pronti ad imparare, da se stessi, dagli altri.

“È bello come il kendo ti permetta di conoscere persone provenienti da tutto il mondo semplicemente incrociando la shinai,” ha raccontato Takeda Sensei “di condividere con loro la fatica, i progressi, le nuove sfide. È bello avere kenyuu (“amici di spada”) in tutto il mondo”.

Come ricordo degli allenamenti insieme, Takeda Sensei ha regalato un tenugui a ciascun membro dell’ARK, con l’augurio di rivederci presto.

[Si ringrazia il signor Hiromi Takeda per il materiale fotografico e per il video]

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Coppa Dell’Ambasciatore

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In occasione delle celebrazioni per il 150° Anniversario dei rapporti diplomatici tra Italia e Giappone si è svolta a Roma il 18 Settembre la prima edizione della Coppa dell’Ambasciatore. La competizione è stata preceduta, il 17, da uno Stage tenuto dalla delegazione inviata dalla All Japan Kendo Federation, composta da Makita-Sensei (Hanshi 8° dan) e Kawakami-Sensei (Renshi 7° dan). Lo stage ha visto partecipare più di 200 kenshi da tutta Italia e si è diviso in una mattinata di stage classico, dove i maestri Makita e Kawakami, aiutati da Donatella Castelli, hanno seguito i kenshi divisi per grado, e il pomeriggio, in cui si è tenuto lo stage Arbitrale. Decine di volenterosi atleti si sono confrontati nello shiai-jo al fine di poter creare situazioni di interesse per tutti gli arbitri, che venivano quindi commentate e spiegate dal Maestro Makita, ad uso tanto degli arbitri quanto dei kenshi stessi.
Sabato sera, quindi, si è svolta una cena aperta alle squadre partecipanti ed agli sponsor per celebrare l’inizio della competizione.

Domenica mattina si è dato il via alle danze. Subito dopo la cerimonia d’apertura, gli atleti hanno avuto modo di assistere all’esecuzione dei Kata di Kendo, Iaido e Jodo, prima di cominciare con gli incontri. Le squadre, rappresentanze regionali da sette elementi corrispondenti a sette diverse categorie (un capitano, un agonista comprovato, un atleta sopra il 3° dan, uno sotto il 3° dan, due donne senza limitazioni di grado ed uno juniores), si sono affrontate nella particolare formula che, non prevedendo cambi nell’ordine della squadra, ha permesso di avere una gara più livellata, con incontri quasi mai scontati.
Tre atleti dell’ARK (Mauro Battaglioni, Federico Capone e Lavinia Laurenti) sono stati selezionati per far parte della rappresentanza del Lazio [Andrea Li Causi (Ookami Roma), Leonardo Ragona (Gens Futura Roma), Mauro Battaglioni (ARK Roma), Federico Capone (ARK Roma), Etsuko Matsuura (KenYuuKai Gaeta), Lavinia Laurenti (ARK Roma), Cristian Ferrari (Ookami Roma)], che dopo essere riuscita ad uscire seconda da una poule di ferro (Lombardia Est, poi vincitrice della gara, ed un’agguerritissima Toscana) grazie ad un Ensho durato 18 minuti tra il capitano, Andrea Li Causi, e Sakai, rappresentante della Toscana, si è però fermata ai quarti perdendo per un punto contro la Liguria, poi seconda classificata.

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La Rappresentativa del Lazio

Prima della finale si è svolta una dimostrazione ad opera di un gruppo di giovanissimi kendoka, a dimostrare come il futuro della disciplina in Italia è già presente, e nel modo migliore possibile.

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I Giovanissimi

L’ARK ha collaborato con la CIK e l’Ambasciata Giapponese fornendo il necessario supporto logistico per la buona riuscita dell’evento.

La fine della gara è stata onorata dalla presenza dell’Ambasciatore del Giappone in Italia, Kazuyoshi Umemoto, che si è complimentato con tutti i competitori per lo spirito dimostrato e soprattutto ha ringraziato i maestri Makita e Kawakami, la CIK, la AJKF e gli Sponsor, promotori ed organizzatori dell’evento.

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La Cerimonia di Chiusura

Presente alla competizione anche la RAI, che ha poi dedicato all’evento un servizio su RAI Sport.

Primo posto: Lombardia Est
Secondo posto: Liguria
Terzo posto: Lombardia Ovest, Triveneto
Fighting Spirit: Andrea Carubbi (Emilia Romagna) e Serena Ricciuti (Triveneto)

 

Si ringrazia Domitilla Maria Biondi per le foto.

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Inizio Stagione 2016/2017

Avvisiamo tutti gli interessati che a partire dal 5 Settembre, tutti i lunedì mercoledì e venerdì dalle 20:30 alle 22:30, riprenderanno i corsi nella nostra sede situata in Via Tripolitania 34, al Palapass.

Principianti e neofiti sono invitati a presentarsi nei prossimi giorni per venire introdotti alla disciplina. Le prime lezioni di prova saranno gratuite e il materiale iniziale lo forniremo noi. Vi bastano una tuta e voglia di sudare un po’.

I contatti sono i soliti reperibili sul nostro sito.

A presto!

 

 

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Il Kendo e le Olimpiadi di Tokyo 2020: un’opinione (da WAttention)

I Giochi di Rio de Janeiro hanno riacceso il dibattito sulla possibilità che il kendo diventi disciplina olimpica. Sull’argomento vi proponiamo la traduzione di un articolo apparso sul magazine WAttention.

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Foto: Kojiro Kinno, Storehouse

Le Olimpiadi del 2020 si svolgeranno a Tokyo, ma la più rappresentativa arte marziale giapponese, il kendo, non sarà nella lista degli sport olimpici. Eppure il judo era stato introdotto in occasione delle Olimpiadi del 1964, l’ultima volta che l’evento sportivo internazionale si era tenuto a Tokyo.

Se mai il kendo – che letteralmente significa “la via della spada” – dovesse essere introdotto come disciplina olimpica, di certo i Giochi Olimpici di Tokyo sarebbero l’occasione più appropriata per farlo. Tuttavia, il mondo del kendo appare comprensibilmente diviso su questa possibilità.

Come praticante di kendo – ho recentemente preso parte al Campionato del Mondo di Kendo, il giugno scorso a Tokyo – sono d’accordo con chi afferma che il kendo non è come gli altri sport. Innanzi tutto, mostrare un qualsiasi segno di giubilo, mettersi in posa da vincitore o agitare i pugni in aria per esprimere esultanza – reazioni normali e comprensibili di fronte a un punto guadagnato con fatica – nel kendo si tradurrebbero nell’immediata cancellazione del punto stesso, perché rappresenterebbero una mancanza di rispetto nei confronti dell’opponente.

Nemmeno mettere a segno un punto è una questione tanto semplice. Oltre a colpire il punto esatto (testa, braccio, busto o collo) dell’opponente, altrettanto importante è il processo attraverso cui ci si arriva. Ovvero il mostrare una posizione di attacco attiva, lo spirito per mezzo del quale il punto è stato segnato e il suo accompagnamento/completamento (il dimostrare un’ininterrotta prontezza fisica e mentale). Elementi che non prevedono quindi alcuna posa da vittoria.

Il rilevamento elettronico, come nella scherma, o un giudizio espresso sulla base di una moviola, come avviene adesso nel sumo, non sono contemplati. Insomma, la sorte dell’atleta è affidata esclusivamente ai tre arbitri presenti, e alla loro conoscenza della disciplina. Non è inconsueto che un atleta senta di aver perso un incontro a causa di valutazioni imprecise, ma in quel caso lo spirito del kendo impone di riflettere su come il punto che si pensava di aver portato a segno in realtà non fosse sufficientemente efficace. Uno spadaccino molto rispettato in epoca Edo, quando il kendo pose le sue radici, una volta disse: “Esistono vittorie incomprensibili, ma non esistono sconfitte impensabili”. Il che vuol dire che bisognerebbe sempre riflettere sulle proprie sconfitte, e non crogiolarsi nella gloria di una vittoria.

Il kendo è un’arte marziale giapponese che prevede l’uso di una spada di bambù e implica un allenamento rigoroso mirato a sviluppare sia la tecnica di combattimento che il carattere, instillando virtù come il coraggio, l’onore e l’etichetta, con l’obiettivo di vincere il nostro più grande nemico: noi stessi. A differenza di altre arti marziali come il judo, il grado (o “dan”) di ciascuno non è indicato in nessun modo visibile. Non esistono cinture di colori diversi. Il comportamento e la maturità di gioco sono gli unici indicatori – a meno di non chiedere garbatamente “Potrei sapere qual è il suo dan?” (di solito allo scopo di sistemarsi in riga per il saluto rispettando l’ordine di anzianità, secondo il quale le persone più alte in grado si sistemano più vicino al Maestro).

Se il kendo dovesse diventare sport olimpico, la sua popolarità crescerebbe e sempre più persone potrebbero decidere di intraprendere questa strada, ma la disciplina rischierebbe di ridursi proprio a questo, uno sport, in cui la vittoria è dettata da velocità e forza a discapito di tecnica e spirito.

L’ironia persisterà dunque per chissà quanto tempo: perché il kendo diventi uno sport olimpico, l’ostacolo più grande è il kendo stesso. Eppure il kendo è l’unica disciplina al mondo ancora fedele allo spirito olimpionico originario, che mira a coltivare amicizia, rispetto, solidarietà e correttezza. E non la ricerca della fama, di una medaglia d’oro o di un contratto con uno sponsor.

 

Questo articolo è apparso sul magazine WAttention il 2 luglio 2015. Per leggere l’originale:
http://www.wattention.com/opinion-kendo-and-the-2020-tokyo-olympics/

[Traduzione: N.C.]

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